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Un giovane di 17 anni con origini senegalesi, descritto come spavaldo e senza alcun segno di rimorso o pentimento, è stato condannato a 6 anni e otto mesi di carcere con rito abbreviato per lo stupro di una studentessa ventitreenne nella residenza universitaria Borsellino, avvenuto a fine ottobre dell'anno scorso.

Le motivazioni della sentenza, rese pubbliche di recente, hanno gettato luce sulla personalità del giovane imputato. La corte ha descritto la sua azione come una "brutalità impressionante", sottolineando la mancanza di qualsiasi empatia o pentimento nel suo comportamento. Durante il processo, il giovane ha mantenuto un "atteggiamento vittimistico" e ha costantemente fornito "menzogne" nel tentativo di screditare la vittima.

Uno degli elementi chiave che ha portato alla sua condanna è stata l'analisi del DNA. La scienza ha rivelato in modo inequivocabile la sua colpevolezza, fornendo un nome e un cognome al violentatore. Questa prova forense ha contribuito a consolidare il caso contro di lui e ha reso impossibile negare la sua responsabilità nell'aggressione.

La condanna di questo giovane rappresenta un importante passo avanti nella lotta contro la violenza sessuale. Dimostra che la giustizia può prevalere anche quando l'aggressore cerca di negare la verità e sfrutta tattiche manipolative per difendersi. La sentenza invia un messaggio chiaro che la brutalità e l'assenza di rimorso non resteranno impunite.

È importante sottolineare che la condanna di questo giovane non dovrebbe essere vista come un'indicazione delle azioni di una comunità o di un gruppo etnico in particolare. La giustizia deve essere cieca e basata sulle prove concrete, e in questo caso, il DNA ha parlato in modo inequivocabile.

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