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Due precisazioni davanti al pm: “l’arma che avevo in mano non era un machete, ma un pugnale” e “non volevo fargli così male”. Così ha provato a difendersi davanti al pm Pietro Costanzia di Costigliole, il nobile piemontese accusato di aver aggredito un coetaneo con un machete, lo scorso 18 marzo, nel quartiere Mirafiori. Il giovane ora è accusato di tentato omicidio: in seguito all’agguato, alla vittima è stata amputata la gamba sinistra e i medici hanno spiegato che sarebbe morto nell’arco di dieci minuti se un operaio non l’avesse soccorso fermando l’emorragia con una cintura. Ora il nobile racconta la sua verità agli investigatori, mostrandosi collaborativo e spiegando la dinamica della spedizione punitiva, condotta insieme al fratello Rocco, anche lui in carcere: ha spiegato al pm che aveva con sè un pugnale, non un machete, che teneva nascosto nel giubbotto e con cui intendeva solo minacciare la vittima, forse picchiarla, perché aveva molestato la fidanzata. Dell’arma, stando al suo racconto, il rampollo di Costigliole si sarebbe liberato nel tragitto tra via Panizza, dove è avvenuto lo scontro, e la sua abitazione del precollina. Il giovane nobile ha ammesso che voleva dare una lezione al coetaneo da tempo, sottolineando di non essere l’unico a cercarlo: “Quando ho letto su internet che era grave, mi sono preoccupato, non pensavo di averlo ferito in quel modo”, si è giustificato. Adesso sarà compito dei magistrati valutare la genuinità del racconto dell’accusato, che durante l’interrogatorio non ha mai citato questioni legate alla droga o a debiti rimasti in sospeso, come era trapelato dalle prime ricostruzioni.

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