Pubbliredazionale Manutenzione editoriale: la fase dimenticata della comunicazione digitale - moovcomunicazione.it
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La pubblicazione è solo l’inizio. Spesso i contenuti vengono prodotti, pubblicati e mai più toccati — come se la loro funzione si esaurisse nell’atto di andare online. Ma è proprio nella fase successiva che un contenuto può continuare a informare, posizionare, generare fiducia. Oppure, al contrario, diventare obsoleto e controproducente. Nell’articolo che segue raccontiamo le 4 fasi della vita di un contenuto digitale, i rischi dell’obsolescenza comunicativa e come attivare, anche con risorse limitate, un protocollo editoriale minimo per la gestione dei contenuti nel tempo. Un punto di partenza concreto per PA, PMI e realtà che vogliono comunicare con continuità e coerenza.

 

Le 4 fasi della vita di un contenuto

Un contenuto digitale attraversa un ciclo, più o meno prevedibile, che conviene conoscere per poterlo gestire.

La prima fase è quella della pubblicazione, il momento di massimo slancio. È quando il contenuto riceve visibilità, viene promosso, condiviso, discusso. È anche la fase in cui si raccolgono feedback e si osservano le prime metriche.

Segue poi una seconda fase, più silenziosa, in cui il contenuto perde progressivamente attenzione. Questo non significa che diventi inutile: può continuare a generare traffico organico o a essere trovato tramite ricerche specifiche. Ma l’interesse iniziale si riduce e con esso l’impatto comunicativo.

Con il tempo, si entra nella fase dell’obsolescenza. Alcuni contenuti diventano superati nei dati, nei riferimenti normativi, nei link esterni o nel linguaggio. Questo è un momento critico: se non si interviene, un contenuto obsoleto può danneggiare la credibilità della fonte che lo ospita.

Infine, ogni contenuto giunge a un bivio: o viene rigenerato (aggiornato, ampliato, rilanciato), oppure dismesso (rimosso, unito ad altri, archiviato). È in questa quarta fase che si decide se un contenuto merita una seconda vita o se è meglio lasciarlo andare.

 

Manutenzione editoriale: come farla e quando

Mantenere vivi i contenuti digitali non significa solo correggere errori. Significa rivedere le informazioni alla luce di ciò che è cambiato, intervenire su tono e struttura, verificare che le esigenze del pubblico siano ancora soddisfatte.

Un contenuto andrebbe aggiornato ogni volta che avviene una modifica nei dati riportati, nei riferimenti normativi o nei servizi descritti. È il caso tipico delle pagine dedicate a bandi, scadenze, agevolazioni o procedure amministrative. Ma l’aggiornamento può essere anche un’occasione per migliorare un contenuto che funziona: ad esempio, un articolo con buone performance SEO può essere arricchito con nuovi esempi, approfondimenti o call to action più efficaci.

La ripubblicazione, invece, non è solo un gesto tecnico. È un atto strategico. Riprendere un contenuto aggiornato e rilanciarlo in occasione di una ricorrenza, di una campagna o di un evento significa valorizzare l’investimento editoriale già fatto, senza ricominciare da zero. Anche i contenuti “sempreverdi”, cioè non legati all’attualità, possono essere riproposti ciclicamente a nuovi pubblici, su canali diversi o con formati differenti.

Infine, ci sono i casi in cui serve dismettere. Non tutti i contenuti vanno conservati. Alcuni perdono senso, altri sono superati da nuove versioni. A volte, eliminare una pagina è una scelta di qualità, soprattutto se il contenuto rischia di generare confusione, disinformazione o penalizzazioni nei motori di ricerca.


Il problema non è solo quanto si comunica, ma come lo si mantiene

Nel contesto informativo contemporaneo, l’affidabilità di un contenuto online dipende anche dalla sua attualità. Nelle PA e nei progetti pubblici, lasciare online materiali obsoleti rischia di alimentare confusione o disinformazione, anche involontariamente. La manutenzione editoriale è quindi anche una questione di responsabilità pubblica, che tocca la qualità dell’accesso all’informazione e la fiducia degli utenti. Come possono le istituzioni rendere questa attività parte integrante della loro governance digitale? Uno spunto che merita di essere discusso oltre la sfera della comunicazione.

 

Un protocollo minimo per PA e PMI

Non serve una redazione interna per gestire bene i contenuti. Serve un metodo, anche essenziale, che consenta di sapere cosa c’è online, come sta funzionando e cosa va rivisto.

Un primo passo concreto è costruire un inventario dei contenuti pubblicati, almeno quelli più rilevanti: articoli del blog, pagine istituzionali, sezioni tematiche del sito, materiali informativi ricorrenti. Questo inventario dovrebbe includere, oltre al titolo e alla data di pubblicazione, una nota sullo stato di aggiornamento e, se disponibile, una misurazione delle performance (visualizzazioni, durata della lettura, clic generati).

Su questa base è possibile pianificare interventi periodici di manutenzione, anche solo ogni tre o sei mesi. In ogni revisione si può stabilire se aggiornare, riscrivere, rilanciare o archiviare. Ciò che conta è che la revisione non sia affidata al caso, ma a un criterio chiaro e condiviso.

Infine, anche nelle strutture piccole, è utile assegnare responsabilità esplicite. Chi controlla i contenuti? Chi li aggiorna? Chi decide se rilanciarli? Se non esiste una figura dedicata, può essere utile affiancare la comunicazione con una consulenza esterna periodica, capace di garantire coerenza e continuità nel tempo.

I contenuti pubblicati non sono mai un punto d’arrivo. Sono l’inizio di un ciclo che, se gestito con cura, può portare valore per mesi o anni.

Non tutte le realtà, nemmeno le agenzie di comunicazione, gestiscono attivamente la manutenzione editoriale dei contenuti. Ma è un tema su cui riflettere, specie quando si punta a costruire una presenza digitale solida e duratura. MOOV crede che affrontare anche il ’dopo’ della pubblicazione sia una frontiera strategica da sviluppare, insieme ai propri clienti.


Questo contributo è ispirato a un approfondimento pubblicato sul nostro sito. MOOV Comunicazione.

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