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In Piemonte, solo una frazione delle confische effettuate nell’ambito delle norme previste dal cosiddetto "codice antimafia" riguarda effettivamente le organizzazioni mafiose. La maggior parte dei provvedimenti, infatti, colpisce reati di criminalità comune. A rivelarlo è stato l’avvocato Cosimo Palumbo, coordinatore della commissione misure di prevenzione della Camera penale del Piemonte occidentale, durante un’assemblea dedicata al Decreto Sicurezza, tenutasi in occasione della prima giornata di astensione dalle udienze indetta dall’Unione delle Camere Penali Italiane (Ucpi).
Palumbo ha anticipato alcuni dati preliminari di uno studio in corso, i cui risultati definitivi saranno disponibili nei prossimi mesi: secondo le prime stime, meno del 10% delle confische riguarda effettivamente soggetti legati alla mafia.
L’avvocato ha messo in luce una criticità importante: secondo molti penalisti, l’attuale normativa sembra privilegiare l’adozione di misure patrimoniali di prevenzione a scapito dell’intervento penale vero e proprio. In sostanza, invece di perseguire direttamente i reati, si colpiscono le persone, spesso anche in assenza di una condanna.
Un esempio citato riguarda una disposizione contenuta nel Decreto Sicurezza: se una confisca aziendale diventa definitiva, non solo l’impresa viene sottratta al soggetto interessato, ma anche i suoi parenti, il coniuge e persino gli affini non potranno più lavorarvi. Tutti i contratti lavorativi vengono automaticamente annullati, portando al licenziamento anche di chi non ha avuto alcun coinvolgimento penale.